Mostre a Milano, tre consigli: Madu, LaChapelle e Diop | Mi-Tomorrow

2022-10-14 22:28:05 By : Ms. Xu Susan

Tre appuntamenti in mostra indagano la dimensione umana del presente tra più latitudini e un nuovo mondo possibile

Diverse per linguaggio, ma collegate da un sottile filo rosso: la riflessione sull’uomo e il suo tempo. Tre mostre a Milano da vedere in città tracciano coordinate di pensiero sul presente e sul futuro che è già qui, spaziando tra pittura, fotografia e collage materici (quasi 3D). Succede alla Fondazione Mudima dove debutta oggi la personale di John Madu con tele giganti e maschere metafora. E poi al Mudec, con gli scatti pop e intimisti di LaChapelle, e alla Galleria Poggiali, che espone Alexandre Diop e il suo personalissimo flusso di coscienza.

Con dipinti formato XL, dai colori vibranti apre oggi alla Fondazione Mudima John Madu. Year of the Masque, la prima personale in Italia dell’artista multidisciplinare nigeriano, originario di Lagos. La grammatica di John Madu è sintonizzata sul figurativismo simbolico: le scene ritratte sono spazi domestici, infittiti di oggetti di uso comune e da persone con abiti sgargianti, colte in scenari che accostano il blu cielo, il fucsia, il rosso lacca, il giallo girasole.

Al primo sguardo colpisce la folla di oggetti di ordinaria quotidianità, riprodotti con meticolosa cura del dettaglio: il portacenere pieno di sigarette spente, il sacchetto di patatine, la bottiglia di birra con marca in bella vista, le scarpe da tennis dal riconoscibilissimo brand. E poi ci sono i volti, spesso senza naso, bocca, occhi o coperti da una maschera tribale. L’effetto è ipnotico e insieme straniante.

Inghiottita nel vortice surreale di colori, l’attenzione si sposta dal quotidiano a un altrove: con ironia e un ampio uso dei simboli e delle allegorie Madu accompagna chi osserva alla consapevolezza dei temi al centro della sua ricerca artistica: le difficoltà economiche e politiche derivanti dalla decolonizzazione e da una leadership corrotta e inefficace, la brutalità della polizia, il tribalismo. Temi solo in apparenza circoscritti all’Africa e che in realtà riguardano tutti. In mostra 15 dipinti in cui la maschera citata nel titolo è simbolo della duplicità e delle contraddizioni nella vita umana.

Una nuova umanità è possibile. Lo suggerisce la mostra David LaChapelle. I Believe in Miracles di scena al Mudec. Presenti oltre 90 opere – tra grandi formati, scatti site-specific, una video- installazione e nuove produzioni provenienti direttamente dallo studio dell’artista con una serie inedita presentata in anteprima per il Museo delle Culture. Al centro la cifra inconfondibile di LaChapelle, icona della cultura pop e autore di una fotografia gestuale.

Artista che costruisce con meticolosa attenzione i suoi set come fossero scenografie teatrali e poi scatta per cristallizzare il messaggio. Immerso in una profonda dimensione spirituale LaChapelle crede nei miracoli, come suggerisce il titolo della mostra. Il percorso espositivo curato da Denis Curti e Reiner Opoku presenta opere che denunciano la vulnerabilità del pianeta e la fragilità dell’uomo ma, insieme, anche immagini rivelatrici della visione di un mondo nuovo, una nuova Arcadia immersa in una natura incontaminata e lussureggiante, dove spiritualità, amore e bellezza possono convivere.

Bellissimi gli scatti per la prima volta esposti in una mostra dopo il biennio di pandemia e concepiti nel contesto naturale delle Hawaii dove LaChapelle vive. Più intimi e riflessivi, con colori meno saturi, interpretano alcuni passaggi della Bibbia in una dimensione meno surreale del consueto. Invitano a tornare indietro nel tempo per riflettere sui nostri valori e sul bisogno di riconoscersi anche in un nuovo mondo, frutto del miracolo.

Recupera il legno, il tessuto, la paglia. Viti e chiodi. Stoffe, metallo, lattice e perline. Alexandre Diop si concentra su un mix di materiali eterogenei che trova comunemente nel suo ambiente quotidiano e li assembla, li stratifica, per formare collage fortemente materici, quasi in bilico tra scultura e pittura, dove la rappresentazione figurativa tradizionale sfuma in un linguaggio astratto. La realtà oggettiva è trasfigurata, ma se ne percepiscono esattamente i contorni.

Sono opere intense, legate con doppio filo alla sua dimensione personale, al legame con l’Africa e Parigi, dove è cresciuto (Diop è nato da madre francese e padre senegalese), al periodo trascorso a Berlino e a Vienna, una città che lo ha profondamente segnato e dove oggi vive e lavora. L’artista zooma su stralci autobiografici che ritornano costantemente nei suoi lavori sotto forma di scritte e, spesso, autoritratti, sfruttando l’arte come strumento con cui comunicare pensieri ed emozioni.

La Galleria Poggiali ha appena inaugurato Symphonie du Ghetto: Volume One. Natural Born Killer, primo atto di un progetto che Diop porterà avanti nel tempo. Le undici opere esposte raccontano una sorta di flusso di coscienza da cui affiorano domande sull’esistenza, sulla libertà, sui privilegi che molti non hanno per il solo fatto di essere nati in un certo contesto. In primo piano l’omaggio a chi proviene dal ghetto, attraverso la raffigurazione di personaggi diversi, per ricordare come ogni giorno debbano affrontare una vita fatta di miseria e pericoli costanti.

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